Il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni è legato proporzionalmente allo stato di salute della democrazia di un Paese.

Stando al World Press Freedom Index 2023, l’annuale rapporto sulla libertà di stampa di Reporter Sans Frontier (RSF), pubblicato in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, che si celebra ogni anno il 3 maggio, l’Italia si posiziona al 41° posto della classifica su 180 Paesi migliorando la sua posizione rispetto al 2022. Un segnale positivo in un quadro che mostra però ancora forti criticità, troppe. Ai primi posti della classifica quasi tutti i Paesi nordici: sul podio, in rigoroso ordine, ci sono Norvegia, Irlanda e Danimarca, con Svezia e Finlandia a completare la top 5.

In generale la libertà di stampa nel mondo sarebbe peggiorata con la guerra in Ucraina che avrebbe contribuito a “una maggiore aggressività da parte delle autorità di molti Paesi e di una crescente animosità nei confronti dei giornalisti sui social media e nel mondo reale”, come spiegato da Christophe Deloire, segretario generale di RSF. Il report mostra inoltre che i rapidi progressi tecnologici stanno consentendo ai governi e agli attori politici di distorcere la realtà. “La differenza tra vero e falso, reale e artificiale, fatti e artifici si sta offuscando, mettendo a repentaglio il diritto all’informazione”, si legge nel documento.

Un ruolo centrale lo occupa l’intelligenza artificiale che, sempre secondo il report, sta “provocando ulteriore scompiglio nel mondo dei media”. La situazione tre “molto grave” “difficile” in 31 Paesi rispetto ai 21 di appena due anni fa, “difficile”, “Problematica” e “Buona o soddisfacente” trova il nostro paese con un punteggio medio di 72.05 e quindi nella fascia “soddisfacente”. Ma la strada verso il podio è ancora lunga.

Secondo il report dell’Ong francese è la criminalità organizzata, soprattutto nel sud del Paese, oltre che vari gruppi estremisti violenti, aumentati notevolmente durante la pandemia, a minare la libertà di stampa nel nostro Paese.  L’Italia brilla poco negli indicatori economici, dove non si raggiunge la sufficienza, e in quelli politici dove ci sarebbe stato un passo indietro rispetto allo scorso anno. Un miglioramento si è avuto invece rispetto alla sicurezza e agli aspetti legislativi, anche se il divario con la stampa del Nord Europa resta sempre molto ampio.

Nel contesto politico, in particolare, i giornalisti italiani godono per la maggior parte di un clima di libertà. “A volte, però, – si legge nel report – cedono alla tentazione di autocensurarsi, sia per conformarsi alla linea editoriale della propria testata giornalistica, sia per evitare una causa per diffamazione o altra forma di azione legale, sia per paura di rappresaglie da parte di gruppi estremisti o della criminalità organizzata”.

Dal punto di vista del contesto economico, invece, permane rispetto all’anno precedente una precarietà crescente, aggravata dalla crisi, che mina pericolosamente il giornalismo e, quindi, il suo dinamismo e la sua autonomia. Oltre a una generale condizione lavorativa di incertezza, nel contesto italiano persiste una polarizzazione della società che ha colpito i giornalisti durante la pandemia e che, inoltre, si è cristallizzata attorno a questioni politiche o ideologiche legate all’attualità. Dati che fanno riflettere e che restituiscono la fotografia di un’Italia ancora lontana dalla totale libertà di espressione. Un’Italia che non riesce a liberarsi dal meccanismo dell’autocensura. Un’Italia incatenata ancora dalla criminalità organizzata. Un’Italia libera di parlare “a metà”. Ed allora bisogna interrogarsi su cosa significhi “libertà di stampa”. Un interrogativo ancora più attuale se si pensa a quanto nel nostro Paese la gestione dei media sia strettamente connessa al potere politico.

Di pochi giorni fa la notizia della scomparsa di uno dei più grandi e discussi protagonisti dei nostri tempi, Silvio Berlusconi.

È stato, infatti, un grande comunicatore e ha (stra)utilizzato i media, nel bene e nel male, per diffondere il suo ego politico, imprenditoriale e personale. Ed allora bisogna chiedersi come li ha utilizzati? E come i (suoi) giornalisti abbiano veicolato le informazioni nei (suoi) giornali e nelle (sue) reti televisive? Quanto realmente libera è stata ed è l’informazione dell’impero editoriale di sua proprietà? E, più in generale, quanto le ideologie delle “proprietà” influenzano o devono influenzare l’informazione? La possibile manipolazione si può basare sulla scelta dei contenuti, sul linguaggio con cui quei contenuti vengono presentati, sulle omissioni, sul taglio e sul colore che si decide di dare quando si racconta un fatto.

È quello che accade anche quando si parla di Sicurezza sul lavoro.

Spesso non si scrivono tutte le cause; spesso diventa un momento di cronaca per annunciare che è successo un infortunio, grave o meno, mortale o meno, senza entrare nello specifico. Da un lato perché parte l’indagine investigativa e dall’altro essendo una materia molto tecnica non si hanno gli elementi per poter dare le informazioni in modo esatto.  Parlare di sicurezza sul lavoro non è solo raccontare l’infortunio e chi è del settore lo sa benissimo.

Ed allora ci si rende conto come la libertà di stampa abbia ancora delle catene invisibili, sottili, ma resistenti.  Garantire un’informazione libera e plurale è una sfida di non semplice risoluzione, soprattutto nell’era del digitale.

Con un click è possibile accedere ad un mare di informazioni. Ma non sempre è semplice navigare in questo mare.

Cosa significa allora essere liberi di esprimersi?

Quale interpretazione si può dare?

Anche dove la libertà di stampa sembra acquisita è importante capire che questo principio va interpretato ogni giorno in rapporto alle reali possibilità e alle reali volontà di garantire un’informazione approfondita e pluralista.

Ed allora la Giornata della libertà di stampa deve essere un’occasione di riflessione ed ha un senso se diventa il baluardo di una sfida per la conquista o il mantenimento della democrazia.