Secondo i dati più recenti dell’Istat, il 75,2% delle imprese con oltre tre addetti, pari a oltre 777mila aziende, è controllata da una persona fisica o da una famiglia, e oltre un quinto di queste (20,5%) tra il 2013 e il 2023 ha affrontato o affronterà il passaggio del testimone. Una fase delicata in quanto alla terza generazione sopravvive solo il 15-20% delle imprese. Tante sono le ricerche che interessano il tema e che lo sviscerano nelle sue molteplici sfaccettature. Diverse le opinioni di imprenditori ed economisti. Certa l’importanza che il passaggio generazionale nel panorama produttivo italiano ha e deve avere.

È un tema di grande attualità che impone riflessioni approfondite. Un’analisi condotta dalla società Studio Temporary Manager S.p.A. -specializzata nei servizi di temporary management- condotta su un campione di manager (C-Level, quadri direttivi, ecc.) che ha vissuto almeno un passaggio generazionale negli ultimi dieci anni evidenzia la complessità e le difficoltà legate ai “passaggi di testimone” non pianificati, poco seguiti, effettuati senza adeguata preparazione e formazione di chi, spesso un familiare, quel testimone deve prenderlo e portarlo avanti con il risultato che, sempre secondo la ricerca, il 33% delle imprese registra dopo due anni dal passaggio un peggioramento a livello generale, il 40% un peggioramento nel rapporto e nella gestione dei dipendenti. La situazione cambia se i figli eredi, invece, ricevono formazione adeguata rispetto al ruolo che andranno a ricoprire, facendo esperienze a partire dal basso, anche in altre aziende, ricoprendo ruoli non ai vertici per conoscere a fondo altre realtà e poi meglio la propria, acquisendo competenze e costruendosi una propria identità professionale.

In questo caso non solo i figli eguagliano i loro genitori, spesso li superano. I dati confermano infatti che le aziende guidate dai figli che hanno avuto esperienze in linea con il loro ruolo hanno registrato performance migliori: per il 27% l’impresa di famiglia è migliorata a livello generale (solo per il 20% è peggiorata), per il 33% è cresciuta, per il 27% è migliorato il rapporto e la gestione dei dipendenti, ma soprattutto ha fatto un salto in avanti per grado di innovazione (42%). Il passaggio generazionale non può essere considerato il punto di arrivo legato al naturale trascorrere degli anni, ma va vissuto come un processo complesso che dovrebbe essere affrontato con tutta la struttura aziendale, prevedendo un affiancamento generazionale adeguato e pianificato, studiato e condiviso. Spesso chi lascia l’azienda non vuole lasciarne del tutto il controllo, chi la prende non sempre ha gli strumenti e ne è all’altezza, viceversa non si sente del tutto libero di agire. Il passaggio avviene a volte in fretta, a volte in troppi anni. Questo porta inevitabilmente al tracollo che raccontano i dati.

I numeri parlano. Vero. Ma se nel nostro Paese è ancora così radicata la cultura del “made in family” e del “family business” un motivo ci sarà. E il motivo probabilmente risiede nella forte convinzione che tradizione e innovazione possano coesistere senza collidere, una tradizione che guarda all’innovazione, non rimane indietro, né la scavalca. Nel presente che tende la mano al futuro senza dimenticare il passato. Il motivo sta nel crederci. Nello scommettere, con il rischio di perderla, la scommessa. Ma è un rischio che vale la pena di correre. Innovare senza stravolgere, migliorare senza distruggere. Dare fiducia alle nuove generazioni formandole, accompagnandole, lasciando loro lo spazio e la libertà di provare, di cambiare con la grande responsabilità di non perdere mai di vista i valori e la tradizione che hanno visto nascere e crescere un’impresa. Ed allora sì, va ripensato il passaggio generazionale. Va studiato, pianificato ed effettuato secondo precise strategie. Servono tempo, pazienza, studio, impegno e forza di volontà. Da una parte e dall’altra, in un’ottica sistemica e non accentratrice. Servono preparazione e motivazione, non solo estrinseca, anche e soprattutto intrinseca. Qui la differenza. La grande sfida. Io ci scommetto.

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